lunedì 2 giugno 2014

Sera di primavera





Queste sere, Signore, son tutte tue, per certo,
ordite della tua sostanza, della tua carne dorata.


È primavera, ma ignoro se aprile o maggio;
si scorda il transito del tempo, morte lenta,
come bocca insaziata.


Così sarà l'eterno,
l'uguale di questa sera, copiosa, giubilante,
che non s'aliena in cerca di perfezione, immota.


E tanta in queste ore eternità si stempera,
che non so dei miei anni.


Forse sono il fanciullo
cui primavera d'auguri feriva,
forse un uomo io sono con il mondo nel petto,
o un vecchio stanco, che contempla la vita
come un frutto rotondo, sollecito all'appello del suolo.


E il mondo è una candida comunione delle terre,
lo spazio si cancella, ferita rimarginata,
fatto lieve canzone, lume degli orizzonti.


Sento stendersi intorno pianure, come cori
che intonano un'identica nota senza varianti:
la luce del sole, che affratella i monti e le valli
solo in una presenza, fatta musica d'anima.


È come sempre. Come ieri, come domani.



JOSÉ MARÍA VALVERDE




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